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Immagine del redattoreIsaia Silvano | Daelar Animation

Isao Takahata: il realismo poetico prima dello Studio Ghibli

Il cammino artistico di Isao Takahata racconta l'infanzia e la giovinezza seguendo una sensibilità altrove inedita, impossibile da ritrovare in altri autori o da emulare. Il modo con il quale il regista, fin dai suoi esordi negli anni '60, riesce a narrare le emozioni e le esperienze dei giovani del dopoguerra, il più delle volte appoggiandosi ad ambientazioni europee più che alla madrepatria, riesce a rappresentare senza remore l'intenso respiro di gioia e di spensieratezza, nonché quello di avversità e di morte, che l'artista stesso ha vissuto in tenera età durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1942, a Okayama, un'incursione aerea costringe Takahata e la sua famiglia a fuggire da casa e a cercare un rifugio dalle bombe. Durante la fuga, a causa della folla e della confusione, il bambino perde di vista i genitori e rimane da solo con la sorella maggiore. I due ragazzini, dopo due interminabili giorni, riescono a ritrovare e a riabbracciare i genitori e gli altri fratelli [1]. Takahata ha appena nove anni.


La poetica del regista si plasma e si stratifica attraverso due poli concettuali ben definiti, entrambi partoriti dall'artista probabilmente in tempo di guerra. Il primo consiste nella visione drammatica e cruda della realtà, una idealizzazione profondamente legata alla terra e alla sopravvivenza, l'ineluttabile percorso tortuoso e tragico che porta la purezza dell'infanzia a svanire.



La Tomba delle Lucciole | Daelar Animation
© Studio Ghibli | © Toho


Il secondo mette in gioco la dimensione poetica del vivere, la fantasia pura, il Romanticismo ottocentesco come strumento narrativo, visivo e musicale per poter condurre e trasportare il realismo nel mondo aulico e sincero della natura sia umana, sia terrestre. Isao Takahata, nato a Ise il 29 ottobre del 1935, dopo essersi appassionato all'animazione grazie a una proiezione del corto Kumo to churippu (1943) del pioniere Kenzo Masaoka [2] ed essersi diplomato alla Asahi High School di Okayama, inizia gli studi presso la Scuola di Belle Arti di Tokyo, luogo nel quale l'artista comincia a entrare in contatto con quell'arte cinematografica occidentale che ne influenzerà in maniera definitiva il pensiero e la poetica. I registi che condizionano e suggestionano in modo più chiaro Takahata appartengono alla corrente del réalisme poétique francese: Jean Vigo, Marcel Carné, Jean Epstein, Abel Gance e sicuramente Jean Renoir. Il realismo poetico nasce in seguito ad avanguardie francesi come il surrealismo e come diretta conseguenza artistica del clima politico del "Fronte popolare" [3], dunque sviluppa sia la fascinazione onirica, sia l'appartenenza ideale al socialismo che Takahata infonderà nella maggior parte delle sue opere. Il giovane artista, tuttavia, nonostante in futuro darà sempre prova di essere profondamente legato al cinema live-action e alla letteratura, radica la propria impronta autoriale nell'animazione, guidato e affascinato sia da esponenti occidentali come Paul Grimault e i classici della Walt Disney Productions, sia da importanti animatori giapponesi come Taiji Yabushita.



Paul Grimault | Daelar Animation
Paul Grimault


Nel 1959, anno in cui si laurea, Takahata comincia a lavorare nella neo-costituita Toei Doga [4] sotto la supervisione del direttore che, fino alla metà degli anni '70, lo seguirà e lo formerà: Yasuo Otsuka. Il nuovo animatore debutta con Ken the Wolf Boy (1963), serie animata piuttosto anonima che, tuttavia, lo inserisce nel team di sviluppo in cui, sempre nel 1963, conosce Hayao Miyazaki, un giovanissimo "intercalatore" dal temperamento reazionario, anch'egli allievo di Otsuka, con il quale comincia a stringere un intenso rapporto sia di amicizia, sia di rivalità. Il periodo che va dal 1963 al 1965, infatti, vede i due colleghi, assieme a un'ampia schiera di animatori e non solo, in prima linea durante le lotte sindacali contro l'amministrazione estremamente cinica verso i propri dipendenti della Toei Doga. I primi anni '60 in Giappone rappresentano un periodo focoso e instabile, un decennio nel quale la generazione del dopoguerra, dunque proprio quella di Takahata e di Miyazaki, scontenta degli esiti delle prime proteste post-occupazione statunitense del Paese avvenute negli anni '50, decide di occupare aziende, fabbriche e strade per difendere sia i diritti dei lavoratori, sia il Giappone stesso. La nazione, infatti, sta conoscendo in questi anni una rapida cementificazione, una forma quasi incontrollata e sicuramente indisponente nei confronti dell'ambiente di urbanizzazione, tanto che vengono spianate colline, deviati corsi di fiumi, distrutte foreste e fauna di intere aree agricole o, comunque, contaminate dall'uomo prima in maniera minore e più sostenibile al fine di portare il Paese fuori dal proprio status povero, nonché tecnologicamente arretrato.



Isao Takahata | Daelar Animation
© The Nation


Il sistema del progresso giapponese sta letteralmente cambiando la forma dei terreni e sta rendendo l'economia della nazione un polo industriale sempre più importante a livello planetario. Tali cambiamenti, affermati e coordinati attraverso un cosiddetto "miracolo economico" annunciato dai governi sostenuti dagli USA, vengono inoltre pubblicizzati e resi apertamente celebrativi dalle Olimpiadi di Tokyo del 1964, importante manifestazione sportiva - e soprattutto promozionale - internazionale che infatti apre il Giappone agli occhi dell'Occidente e del mondo intero.


In seguito a continue sindacazioni interne, la Toei Doga nomina direttore e supervisore generale di una divisione dello studio Yasuo Otsuka, importante membro dello staff creativo originario degli anni '50. Otsuka ha piena libertà di scelta sui soggetti da produrre e decide di investire la maggiore quantità di denaro mai impiegata per un film d'animazione giapponese fino a quel momento, ben 140 milioni di yen, in un unico progetto: Tajo no oji Hols no daiboken. La realizzazione del lungometraggio, conosciuto in Occidente come Il Segreto della Spada del Sole, comincia nel 1965 e vede alla sua prima regia la giovane promessa della Toei Isao Takahata e alle animazioni il già esperto Yasuji Mori in compagnia di un altro astro nascente dello studio, Hayao Miyazaki. [...]



La Grande Avventura del Piccolo Principe Valiant | Daelar Animation
© Toei Animation


[...] Il Segreto della Spada del Sole (1968), chiamato in Italia con il titolo sfiancante La Grande Avventura del Piccolo Principe Valiant per mere ragioni di marketing, presenta esteticamente la chiara visione personale e del tutto originale che Miyazaki e il giovane designer Yoichi Kotabe hanno del loro rivoluzionario stile di disegno. Il tratto pulito ma ricco di particolari, influenzato in maniera importante dai cartoni animati sovietici di Lev Atamanov e delle sorelle Brumberg, va infatti in controtendenza con la grafica rotondeggiante e caricaturale che in Giappone va per la maggiore dai tempi di Astro Boy. Il soggetto, scelto da Yasuo Otsuka e da Takahata, è tratto da Chikisani no taiyo, una pièce teatrale scritta in gioventù dallo sceneggiatore del film, Kazuo Fukazawa. La storia, un'avventura epica di genere fantasy classico, si ispira alla tradizione folkloristica degli ainu e mette già in luce alcuni dei futuri capisaldi concettuali di Takahata e di Miyazaki come la presenza di personaggi femminili forti e risoluti, il pacifismo e la descrizione di una società rurale in perfetta sintonia con l'ambiente. Per via della sua grafica così "fuori moda", il film risulta un clamoroso flop al botteghino, a tal punto che la Toei decide solo poche settimane dopo l'uscita del film di ritirare il lungometraggio dalle sale cinematografiche giapponesi. Il Segreto della Spada del Sole, tuttavia, troverà successo all'estero poco tempo più tardi e negli anni verrà considerato, anche in Giappone, una delle colonne portanti dell'animazione mondiale.




La Grande Avventura del Piccolo Principe Valiant | Daelar Animation
© Toei Animation


Il Segreto della Spada del Sole, esperimento produttivo fallito sul breve termine ma dalla epocale importanza sia concettuale-teorica (realizzare un lungometraggio d'animazione da e tra membri del team di sviluppo senza avere una supervisione esterna al nucleo creativo), sia storica del medium (primo sodalizio autoriale del "tandem" giapponese più importante e rivoluzionario dell'animazione), esprime inoltre un taglio politico sicuramente derivativo dall'influenza che l'animatore Paul Grimault esercita su Takahata nei suoi primi anni di attività. Infatti, come l'artista francese rende personale ne La Pastorella e Lo Spazzacamino (1953) l'esperienza della Seconda guerra mondiale e, in particolare, la sua partecipazione alla Resistenza francese [5], il regista della Toei Doga dichiara nel film la sua ferrea posizione a favore della battaglia, quando possibile pacifica, verso i mali definiti superiori, ovvero i soprusi del potere. Se Takahata, dopo quest'opera, smette di lottare attivamente per i diritti dei lavoratori, l'artista invece continua e porterà sempre avanti l'altra sua fondamentale protesta: l'ecologia, un pensiero che plasmerà presto anche la poetica di Miyazaki, nel 1968 ancora costretto a esercitare mansioni puramente tecniche, e che costituirà le fondamenta intellettuali dello Studio Ghibli.



Le Avventure di Lupin III | Daelar Animation
© TMS Enterteinment


In seguito al flop de Il Segreto della Spada del Sole, Takahata viene relegato al ruolo di assistente alla regia della serie Lo Specchio Magico (1969), dopodiché l'artista decide, assieme al suo mentore Yasuo Otsuka e al collega Hayao Miyazaki, di lasciare la Toei Doga e di diventare un professionista freelancer presso lo studio A Production. I tre animatori, conosciuti nell'ambiente come A-Pro directors team, cercano dopo un'attenta fase di pre-produzione di realizzare una serie animata sul personaggio Pippi Calzelunghe di Astrid Lindgren, scrittrice che tuttavia non cede i diritti d'autore dei suoi romanzi, portando dunque al nulla gli sforzi dei tre artisti. Nel 1971, grazie al lavoro di responsabile e di coordinatore svolto da Otsuka, Takahata e Miyazaki dirigono la maggior parte delle puntate di Rupan Sansei, il primo adattamento animato del manga cult di Kazuhiko Kato, in arte Monkey Punch, prodotto dalla Tokyo Movie Shinsha. Le Avventure di Lupin III rappresenta dunque per entrambi i colleghi la possibilità sia di esprimersi finalmente con maggiore libertà stilistica, sia di emergere nel settore dell'animazione dopo la dipartita dalla Toei Doga. A provare ulteriormente l'alchimia creativa di cui dispongono Takahata e Miyazaki insieme, anche se Miyazaki dichiarerà in futuro di avere vissuto un periodo infernale per colpa della direzione a volte pigra, a volte quasi aleatoria del collega, nel 1972 e nel 1973 vengono pubblicati i due mediometraggi Panda Go! Panda e Il Circo sotto La Pioggia, opere brevi che più di ogni altro lavoro precedente delineano lo spessore autoriale dei due artisti, anticipando di anni i cardini estetici e concettuali di classici come Heidi (1974) e Il Mio Vicino Totoro (1988).



Panda Go Panda | Daelar Animation
© TMS Enterteinment


Panda Go! Panda, inoltre, viene realizzato come materiale riciclato dalla serie animata incompiuta su Pippi Calzelunghe, come testimonia il character design della piccola protagonista, e soprattutto rappresenta la prima opera di propaganda politica creata, ma non prodotta, da Takahata (regista) e da Miyazaki (sceneggiatore). Il mediometraggio, infatti, fa parte della promozione mediatica della cosiddetta "Panda diplomacy" messa in atto dai governi di Cina e Giappone attraverso il trasferimento di due panda giganti dalle foreste cinesi allo zoo di Ueno [6].


Tra la fine degli anni '60 e i primi '70, oltre a produrre un notevole numero di materiale artistico, Yasuo Otsuka mette in contatto Takahata e Miyazaki con personalità come Masaaki Osumi, Yoichi Kotabe e Yoshifumi Kondo, professionisti che in questo periodo e anche in futuro - soprattutto Kondo - figureranno nella maggior parte delle opere realizzate dal A-Pro directors team. È proprio questa matrice di artisti che nel 1974 riesce a cambiare in maniera irreversibile il mercato, la fruizione e l'aspetto estetico dell'animazione giapponese. Fin dalla fine degli anni '60, la Mushi Productions di Osamu Tezuka, la Zuyo Enterprise e la Tokyo Movie Shinsha avevano portato nel medium serie animate prodotte sì per un target infantile ma realizzate con tematiche profonde come la guerra o la povertà, con una caratterizzazione più complessa dei personaggi primari e con un maggior spessore psicologico di determinati contesti narrativi.



Dororo | Daelar Animation
© Mushi Productions


Il primo di questi anime, Dororo (1969), diretto da Gisaburo Sugii, fonda il filone sui generis dell'animazione giapponese denominato Meisaku, una particolare tipologia di opera animata descritta da un notevole impegno tecnico nella creazione delle animazioni facciali - per aumentare l'espressività dei personaggi - e dei fondali, una accurata attenzione posta sia in fase di pre-produzione, sia in fase produttiva sul realismo delle ambientazioni e dei personaggi - affinché venga sottolineato il contesto socio-culturale nel quale si svolge la storia - e una natura più domestica, concreta e familiare delle trame. I Meisaku, dunque, si discostano dalle spensierate serie animate fantasy o sci-fi degli anni '60 come Astro Boy (1963) o Sally La Maga (1968) e, inoltre, si rendono immediatamente riconoscibili agli occhi del pubblico attraverso i character design puliti, non super-deformed e realistici impiegati da veterani come Yasuji Mori e da nuove leve sempre più riconosciute nel settore come Hayao Miyazaki e Yoichi Kotabe. Se anime come Dororo, Moomin (1969), Le Fiabe di Andersen (1971) e Le Favole della Foresta (1973) creano le fondamenta formali di questo stile, nel 1974 viene pubblicata l'opera seriale che a livello mondiale, dunque macroscopico, impone i Meisaku nell'animazione: Heidi. La serie, diretta interamente da Isao Takahata, incarna tutti gli aspetti teorici e intellettuali del realismo poetico del regista e riesce, già pochi anni dopo la sua uscita nelle reti televisive giapponesi, a conquistare l'Occidente - soprattutto l'Europa - e a diventare una istituzione del medium animato.



Heidi | Daelar Animation
© Nippon Animation


Heidi, anime basato sul romanzo omonimo (1880) della scrittrice svizzera Johanna Spyri, viene prodotto dallo studio Zuyo Eizo e rappresenta il primo capitolo del cosiddetto Calpis Children's Theatre, una serie di opere animate sponsorizzate dalla Calpis - bevanda analcolica al gusto di latte - nelle reti Fuji TV. Nonostante, quindi, Heidi rappresenti di facciata una trasmissione per bambini, o comunque per giovani, Takahata trasforma questa imposizione nel suo lavoro fino ad ora più "autoriale", inteso in questo caso come portavoce ideale del lirismo, del dramma, della poesia e del realismo, talmente espressivo da divenire quasi sensoriale, che diventerà ben presto il marchio di fabbrica dell'artista. L'opera, dunque, rappresenta il fondamento della poetica di Takahata, il suo "punto zero", e la sua enorme risonanza porta nel 1975 la ex Zuyo Eizo, ora scissa in Zuyo e Nippon Animation, a creare un nuovo stile Meisaku, un filone di serie animate, netto e determinato, realizzato scrupolosamente attraverso tre caratteristiche fondamentali: gli anime devono essere tratti da romanzi occidentali, possibilmente per ragazzi; devono inscenare ed esporre stralci di vita quotidiana, rimanendo quindi il più fedeli possibili ai contesti storici e culturali ai quali le diverse trame si riferiscono; devono essere necessariamente prodotti e realizzati dalla nuova casa di produzione Nippon Animation. Nasce il World Masterpiece Theatre, una delle realtà creative più importanti della storia dell'animazione giapponese e del medium negli anni '70.



Marco - dagli Appennini alle Ande | Daelar Animation
© Nippon Animation


In seguito alla prima serie di questo filone, Il Fedele Patrash (1975), opera tratta dal libro Il Cane delle Fiandre (1872) di Ouida e scritta in parte dallo sceneggiatore storico della Mushi Productions e della Toei Shun'ichi Yukimuro, Takahata come regista, Miyazaki in veste di animatore e Kotabe come character designer realizzano nel 1976, mantenendo sempre Heidi come linea guida, Marco - dagli Appennini alle Ande. L'anime è ispirato al racconto omonimo del romanzo Cuore (1886) di Edmondo De Amicis e rappresenta, attraverso una costruzione minuziosa e severamente drammatica degli eventi e dei personaggi, il passaggio verso il puro neo-realismo della poetica di Takahata. In Marco, infatti, il regista propone uno sguardo più dettagliato degli ambienti e della storicità degli stessi, anche attraverso un attento studio sul posto (la Riviera Ligure) operato da tutto il team di sviluppo, e riesce a trasmettere attraverso le immagini un sentimentalismo tanto epico quanto struggente [7].


Nel 1978, invece, per la prima volta è Takahata ad assistere Miyazaki in quella che tutt'oggi rimane una delle opere d'animazione giapponesi più importanti, impattanti e straordinarie di sempre: Conan Il Ragazzo del Futuro.



Conan Il Ragazzo del Futuro | Daelar Animation
© Nippon Animation


Mentre Il Segreto della Spada del Sole rappresenta l'inizio del sodalizio, non tanto lavorativo quanto soprattutto autoriale e creativo, dei due colleghi, anche se Takahata ricopre senza dubbio un ruolo maggiore rispetto al più giovane Miyazaki, e mentre Heidi descrive in tutta la sua genuinità l'origine della maturità artistica di Takahata, Conan Il Ragazzo del Futuro mostra nella propria magnificenza e nella propria inventiva il genio di un professionista che prima, per ben quindici anni, aveva potuto esprimersi solo attraverso delle straordinarie abilità tecniche, lavorando sempre sotto la direzione del suo mentore e maestro Yasuo Otsuka o di Takahata.


Nel 1979, la Nippon Animation cambia lo sponsor delle proprie serie animate. Calpis Children's Theatre diventa quindi definitivamente World Masterpiece Theatre anche per l'emittente Fuji TV. L'avvento di questa variazione a livello pubblicitario e di promozione viene consolidato con la serie animata più significativa prodotta dalla casa di produzione, Anna dai Capelli Rossi (1979), opera interamente diretta e sceneggiata da Takahata. L'anime accentua il neo-realismo adottato in Marco e il regista, grazie anche al character design di Yoshifumi Kondo, definisce in modo risoluto il carattere estremamente adulto del Meisaku. Anna dai Capelli Rossi, infatti, rappresenta sia una ulteriore evoluzione della poetica di Takahata, resa ancora più esistenzialista nella natura nefasta dei propri personaggi, sia la serie animata più profonda ed emotivamente toccante degli anni '70.



Anna dai Capelli Rossi | Daelar Animation
© Nippon Animation


Il cammino della protagonista, inoltre, sfata il mito che il dramma e che la tragedia appartengano sempre a personaggi principali maschili, come accade spesso negli anime prodotti da artisti (uomini) nati o cresciuti durante la Seconda guerra mondiale. L'ultima opera seriale di Takahata, che sempre nel 1979 lascia la Nippon Animation assieme a Miyazaki e Kondo, esprime dunque anche un notevole messaggio di resilienza giovanile aldilà del genere di appartenenza; un pensiero che tra l'altro si trova in linea con i concetti di natura pedagogica che l'autrice Lucy Maud Montgomery sottolinea nel romanzo da cui viene tratto l'anime: Anna dei tetti verdi (1908).


Takahata, dopo la pubblicazione di Anna dai Capelli Rossi, opera tanto vicina ai romanzi di formazione di De Amicis quanto a Piccole Donne (1868) di Louisa May Alcott, viene quindi riconosciuto sia come il regista intellettuale dell'animazione giapponese, sia come un autore capace di saper interpretare l'arte, di saperla plasmare seguendo una propria visione poetica coerente e, soprattutto, di saper trattare la materia dell'infanzia valorizzandone ogni forma di complessità, sia emotiva che storica. Non a caso l'artista, dopo vent'anni di carriera nel settore seriale dell'animazione, decide di dedicarsi solo ed esclusivamente al cinema d'autore. Il suo primo tentativo è Jarinko Chie (1981), film tratto dal manga omonimo di Etsumi Haruki e realizzato con il character design di Yasuo Otsuka e di Yoichi Kotabe.



Jarinko Chie | Daelar Animation
© TMS Enterteinment | © Toho


L'opera narra le disavventure di una famiglia di Osaka che, per colpa di un padre infantile e inaffidabile, deve continuamente risolvere situazioni spiacevoli. La piccola Jarinko, sempre in mezzo ai fuochi accesi tra la madre e il padre, cerca quindi con allegria di sistemare le vicissitudini dei suoi parenti. Il lungometraggio soffre a causa di una sceneggiatura, co-scritta da Takahata e da Noboru Shiroyama, che forzatamente cerca di adattare il manga originale, un fumetto che gode di una delle serializzazioni più lunghe della storia e che, dunque, risulta difficilmente condensabile in un film. Inoltre, Jarinko Chie non segue e non esprime in alcun modo la poetica del regista, che dunque non si percepisce dalla visione dell'opera. Nel 1982, invece, Takahata dirige un lungometraggio essenziale che riporta nel pieno del Romanticismo, del realismo poetico e del respiro intellettuale la propria dimensione artistica: Goshu Il Violoncellista, il primo vero capo d'opera cinematografico dell'animazione giapponese dopo Belladonna of Sadness (1973) di Eiichi Yamamoto.


[...] Goshu Il Violoncellista rappresenta un passo importante nella carriera e nella maturazione artistica di Isao Takahata. Il film è breve, eppure nella sua durata esprime in maniera esauriente almeno tre principi cardine della poetica del maestro: il sacrificio come unica risorsa per migliorare, l'importanza del rispetto per diventare una persona a propria volta rispettabile, l'armonia dei sentimenti e dell'empatia come mezzo indispensabile per poter donare un'emozione all'altro e, in questo modo, far sperimentare una sorta di estasi spirituale attraverso l'arte.



Goshu Il Violoncellista | Daelar Animation
© Oh! Productions


Il film, tratto da un breve testo di Kenji Miyazawa, è un racconto di formazione sull'importanza dell'impegno, del sacrificio e soprattutto dell'ascolto. Ascoltare gli altri e sé stessi è fondamentale per concentrarsi sulle imperfezioni. Capire che tali errori sono correggibili è di primaria importanza, dopodiché il cammino tortuoso per raggiungere il miglior risultato si deve percorrere, nel caso dell'opera, attraverso incontri più o meno curiosi. Gli animali-guida che accompagnano Goshu nelle sue sessioni intensive di studio, infatti, altro non sono che trasposizioni immaginarie della sua volontà, della sua emotività, della fiducia che prova in sé stesso. Tali incontri non incoraggiano il protagonista, bensì ne migliorano l'esecuzione in modo inconscio. Il percorso auto-formativo di Goshu viene dunque dettato dalla passione e dal talento, strumenti che consentono al personaggio di fare breccia nelle anime di tutti i presenti durante il concerto finale.


Takahata si rivela per l'artista che già aveva dato prova di essere grazie alla serie animata Anna dai Capelli Rossi, ovvero il regista più sensibile e vicino allo Sturm und Drang dell'intero panorama dell'animazione orientale. In Goshu Il Violoncellista, tuttavia, tale visione quasi goetheiana della realtà si espande dalla trama all'intera messinscena, avvolgendo il film in ogni suo lato: la narrazione, sostenuta dalla Pastorale e dalle Sinfonie di Ludwig Van Beethoven, scorre andante grazie ai ritmi imposti dalle musiche; la colonna sonora viene enfatizzata e resa fulcro e asse portante dell'intero lungometraggio ed è, a livello di minutaggio, presente quanto i dialoghi tra i personaggi; il protagonista (specchio del regista), che abita in un ambiente rurale, placido e sereno, sembra vivere esclusivamente per impegnarsi nel suo lavoro di musicista orchestrale, dormendo di mattina, suonando di giorno con l'orchestra e da solo a casa tutte le notti.



Goshu Il Violoncellista | Daelar Animation
© Oh! Productions


Vi è un costante ritorno alla natura, sia in senso terreno (la campagna, dipinta nell'opera e ripresa con contemplazione, respira grazie alle musiche di Beethoven) sia in senso letterario romantico, in quanto Goshu (ovvero Takahata) altro non è che l'artista: colui che può sperimentare e perciò far sperimentare il "sublime", l'attimo nel quale l'estro sa esplodere in brevi istanti di divina ispirazione.


Isaia Silvano [ filmtv.it ], 05/01/2020



Goshu Il Violoncellista alimenta il cinema di Takahata, ne tesse i principi astratti, quelli che più si interessano all'animo umano in relazione con la natura. Il regista, dunque, evolve ancora e rinnova la sua poetica, riuscendo a realizzare un lungometraggio che amplia la visione romantica e filosofica che l'artista ha della vita e del rapporto che intercorre tra l'arte e la spiritualità. In seguito a questo capo d'opera, Takahata e Miyazaki, ormai freelancer senza più un unico studio di riferimento, cercheranno di produrre un'opera mastodontica in accordo con gli Stati Uniti: una trasposizione cinematografica animata del fumetto Little Nemo di Winsor McCay. Il progetto, purtroppo, si arenerà dopo una serie di incomprensioni con il produttore Yutaka Fujioka [8] e i due colleghi, intenti a cercare altri appoggi finanziari, lasceranno il lavoro nelle mani di Osamu Dezaki e di Yoshifumi Kondo. Una volta fallita la loro ambiziosa idea, Miyazaki deciderà di dedicarsi alla realizzazione del suo manga Nausicaä della Valle del Vento, fumetto che due anni dopo, nel 1984, verrà trasposto al cinema sotto la produzione di Takahata e, ovviamente, con la regia e la sceneggiatura di Miyazaki. Tale spettacolo audio-visivo, il primo capolavoro assoluto del cinema d'animazione orientale, darà il via alla nascita della casa di produzione più importante del Giappone degli ultimi trentacinque anni, lo Studio Ghibli, luogo nel quale Takahata potrà creare e supervisionare alcune delle opere più straordinarie e inarrivabili della storia dell'animazione, da La Tomba delle Lucciole (1988) a La Storia della Principessa Splendente (2013).


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APPROFONDIMENTI


[1] [2] [3] [5] [7] [8] Azzano, Enrico; Fontana, Andrea (2015). Studio Ghibli: L'Animazione Utopica o Meravigliosa di Hayao Miyazaki. Milano. Edizioni Bietti. ISBN: 978-88-8248-331-9.



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