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Immagine del redattoreIsaia Silvano | Daelar Animation

L'Arte di Fumito Ueda: dal videogioco al cinema

Nel cinema lo spettatore passivamente osserva e si lascia trasportare dal film, mentre attivamente ne carpisce i significati e ne analizza la forma e il contenuto. Nel videogioco il giocatore passivamente si de-personalizza divenendo uno o più personaggi, mentre attivamente rende possibile lo sviluppo dell'esperienza ludica attraverso l'interazione tra tasti manovrati manualmente e schermo visualizzato. Il videogioco può sembrare uno svago meccanico, privo di coinvolgimento o di alcuno stimolo intellettuale; un mero prodotto volto a introdurre l'acquirente in un universo dove potersi isolare per diverse ore. Il cinema, al contrario, per anni è stato sinonimo di astrazione, di realtà metafisica, di specchio che, anche con un certo aulicismo, riprende situazioni realistiche o fantasmatiche per trascenderle e oggettivarle nel punto di vista del regista. Ma i tempi cambiano. Il cinema oggi è anche questo, eppure sono presenti tanti videogiochi non interattivi che vengono prodotti e spacciati per "settima arte". In parte il videogioco oggi è evoluto, poiché da vent'anni a questa parte solamente pochi titoli possono vantarsi di avere a capo dei registi e degli autori che sanno rendere l'esperienza di gioco cinema interattivo. Tale cambiamento radicale, ai nostri giorni quasi universalmente riconosciuto, porta il videogioco a essere definito una forma di arte da molti, seppure permangano tuttora le fazioni più critiche che vedono la parola game come qualcosa di non assoggettabile all'arte bensì di accostabile solamente al passatempo spensierato.



Fumito Ueda ICO | Daelar Animation
© Team ICO | © SIE Japan Studio | © SIE Worldwide Studios | © Sony Interactive Entertainment | © Sony Corporation


Cosa è cambiato? Chi ha saputo realizzare opere che hanno spostato l'asse qualitativo da esperienza video-ludica ad arte video-ludica?


ENDLESS CORRIDORS


Fumito Ueda, dopo aver studiato alla Osaka University of Arts, lavora dal 1993 al 1997 alla software house WARP come animatore del videogioco Enemy Zero (1995). Stanco quasi subito di essere relegato alla mansione tecnica, nel 1997 si unisce alla Sony Computer Enterteinment e fonda il Team Ico, azienda sussidiaria dello SCE Japan Studio, dove per quattro anni sviluppa la sua opera prima. ICO (2001) è un videogioco che rivoluziona il concetto di esperienza video-ludica, lo distorce, ne crepa le fondamenta formali. La visuale è in terza persona, la camera è fissa in ogni diversa scenografia e segue dall'alto o daccanto i movimenti del protagonista. Non è presente una barra della vita, non sono presenti premi, trofei o ricompense. Il gioco è strutturato a enigmi, non a livelli, che si susseguono in un'unica enorme mappa esplorabile accedendo a porte, ponti e altre strutture che dividono le sezioni di gioco, le quali comunque fanno parte dell'unica pianta a più piani che sorregge l'intera impalcatura scenica dell'opera. Il mondo di ICO, dunque, esiste in un solo gigantesco setting e prende forma dal primo momento, ovvero da dopo aver premuto "START", al contrario degli altri videogiochi dell'epoca che rendono visibili le diverse scenografie mano a mano che il giocatore prosegue con la storia, accede a nuove funzioni, colleziona o completa determinate prove di abilità.



Fumito Ueda ICO | Daelar Animation
© Team ICO | © SIE Japan Studio | © SIE Worldwide Studios | © Sony Interactive Entertainment | © Sony Corporation


In ICO il giocatore partecipa a una poetica storia fantasy profondamente filosofica, di semplice lettura nonché di fattura superlativa. ICO è pura narrazione interattiva, sia visiva che letteraria. È qualcosa che si avvicina profondamente al cinema e, inoltre, è il perfetto esempio di realizzazione artistica di un videogioco.


Ico è poco più di un bambino quando viene allontanato dal suo villaggio e scortato dai soldati in un castello isolato. Qui le guardie, con l'ausilio di una spada magica capace di aprire alcune porte celate tra la pietra, murano vivo il ragazzo in uno dei tanti sarcofaghi presenti in una immensa stanza segreta. Ico sembra destinato a morire poiché maledetto: due piccole corna bianche sono cresciute dalla sua testa, segnandolo come un mostro e inducendo il suo villaggio a sacrificarlo. Miracolosamente riuscito a liberarsi, Ico capisce che nella stanza vi sono altri sarcofaghi come quello da cui è riuscito a uscire, tuttavia non ha il coraggio di vedere dentro tali bare di pietra cosa (e se) rimane (qualcosa) dei suoi simili. Cercando una via di fuga, il protagonista incontra Yorda, una ragazzina rinchiusa in una gabbia scura. Yorda sembra una persona, eppure risplende di una luce chiara e cristallina. I due si uniscono e insieme, scappando da ombre visibilmente interessate alla giovane, arrivano finalmente di fronte al cancello principale del maniero. Proprio in quel momento, tuttavia, fa la sua comparsa una sagoma imponente.



Fumito Ueda ICO | Daelar Animation
© Team ICO | © SIE Japan Studio | © SIE Worldwide Studios | © Sony Interactive Entertainment | © Sony Corporation


Si tratta della Regina delle Ombre, la madre di Yorda, che teme per la figlia e se la riprende, gettando invece Ico nelle zone più profonde e inospitali del castello. Da lì in poi il protagonista dovrà cercare Yorda, riaprire il cancello principale e sconfiggere la Regina: essere etereo che si nutre di anime pure...


Le trame di Ueda sono sempre minimali poiché all'autore non interessano la complessità, l'intreccio intricato e sforzare il giocatore di immedesimarsi nelle sue storie. ICO, per esempio, percorre in maniera lineare un racconto dark-fantasy estremamente semplice eppure ricco di dettagli da esplorare, la maggior parte dei quali sono interpretabili per via del design dei personaggi visto che i dialoghi, in tutte le opere dell'artista, sono presenti in davvero poche e misurate occasioni. Il tema del videogioco - e vero cardine della poetica di Ueda - è il rapporto ambiguo che esiste tra luce (o magia bianca) e ombra (o magia nera). Tale rapporto, nell'opera omnia di Ueda, non può essere ridotto a dicotomia. La luce e l'ombra si mescolano per generare o per distruggere, indicano non il principio e la fine ma o il principio o la fine, plasmano un ciclo infinito spostando il tempo, animando la pietra, divorando carne e spirito del reale per creare energia. In ICO non esistono né vittime né carnefici, né "buoni" né "cattivi". Tutto fa parte dell'ingranaggio che alimenta il ciclo e l'eroe protagonista rappresenta colui che il ciclo lo vuole neutralizzare per poter fuggire da un posto che, per quanto ampio, simboleggia e simboleggerà sempre un'angusta prigione.




Così sarà anche in The Last Guardian, mentre in Shadow of the Colossus questa fuga verso l'esterno, vista come nel platonico "mito della caverna" il raggiungimento della verità e della libertà, non avrà gli stessi risvolti. A completare l'opera sono le meravigliose musiche di Michiru Oshima, descritte da molti come la migliore colonna sonora della storia dei videogiochi [1]. Il genere musicale è un'elettronica ambient fluente, quasi liquida, pacata e sognante che anima l'esperienza di gioco approfondendo ogni atmosfera, ogni azione, ogni percorso dall'inizio fino al magistrale finale: una delle punte di diamante della storia del videogioco e vero manifesto dell'arte videoludica, massima espressione catartica di ICO, opera che per prima stabilisce tra giocatore ed esperienza un rapporto di empatia e di commozione intenso come quello che può intercorrere fra spettatore e film cinematografico.


HOPELESS WARRIORS


Shadow of the Colossus (2005) è, prima di essere un videogioco, una delle esperienze più immersive e folgoranti del nuovo millennio. Le atmosfere claustrofobiche di ICO vengono stravolte, rese epiche e maestose, gli spazi allargati all'inverosimile. Il giocatore si muove in una landa desolata di enormi proporzioni in una mappa che incorpora un'unica, gigantesca sezione di gioco. La telecamera rivela gli sfondi posandosi sempre su campi lunghi con in primo piano il protagonista, il quale silente e rabbioso si sposta senza sosta a caccia di immensi idoli di pietra.



Fumito Ueda Shadow of the Colossus | Daelar Animation
© Team ICO | © SIE Japan Studio | © SIE Worldwide Studios | © Sony Interactive Entertainment | © Sony Corporation


La co-protagonista, la fedele e forte giumenta Agro, è la vera prediletta di Ueda, regista che in ogni cutscene esalta l'eleganza dell'animale e della corsa tramite sequenze che vedono il cavallo galoppare con leggiadria - anche in solitaria - nelle immense distese erbose della Terra Proibita - la Forbidden Land. La spettacolarità cinematografica non è mai stata tanto presente in un videogioco. Ogni particolare è volto a rendere mitologica l'opera di Ueda, che qui si supera e realizza una delle messe in scena più incredibili mai create per un videogioco. Shadow of the Colossus è già cinema nel momento in cui l'interattività diviene mezzo per muoversi e per agire secondo i dettami imposti dall'autore. Fumito Ueda, infatti, rivela sempre, tramite il minimalismo narrativo, quali sono le prove da superare seguendo percorsi che tratteggiano ambienti spettacolari, scorci di una natura selvaggia e di antiche civiltà perdute nel tempo, il tutto con una ricerca tale che qui davvero si può parlare di regia cinematografica a tutti gli effetti. Il giocatore quindi diviene un cameraman prima di calarsi nei panni del protagonista, si cimenta nello studio della geografia della mappa non solo per superare il gioco, bensì per fotografarne gli ambienti, per esplorarne i meandri più segreti, per ammaliarsi e per commuoversi di fronte a costruzioni e a creature tanto imponenti quanto melanconiche, tristi e sofferenti. Da omaggiare è anche la fotografia, che rende questa terra disabitata e silenziosa un qualcosa di etereo e di sublime, di ancora più misterioso e inquietante nella sua pacatezza. Shadow of the Colossus segue in definitiva il cinema di Terrence Malick: è un'opera ascetica, meditativa, spirituale, mistica e dai forti connotati naturalistici.



Fumito Ueda Shadow of the Colossus | Daelar Animation
© Team ICO | © SIE Japan Studio | © SIE Worldwide Studios | © Sony Interactive Entertainment | © Sony Corporation


Il protagonista - senza nome ma chiamato poi Wander da Ueda in un'intervista [2] - giunge a cavallo in una terra considerata proibita e maledetta, la Forbidden Land. Sulle sue ginocchia vi è un corpo in fasce, femminile e gracile, morto da non molto tempo. Arrivato al gigantesco tempio che si erge al centro della valle, Wander stende sull'altare il corpo pallido della ragazza. Si chiama Mono, personaggio di cui non è data alcuna informazione chiara. Appena il protagonista toglie il velo dal volto della giovane, delle voci fanno la loro comparsa dall'alto del tempio. Si tratta di (o dei) Dormin, il dio che secondo la leggenda può ridonare la vita. Wander fà un patto con Dormin, che resusciterà la fanciulla solo a una condizione. Nel tempio sono state scolpite sedici statue di pietra e, per poterle distruggere, bisogna uccidere gli altrettanti colossi che dominano la Forbidden Land. Dormin dice che, con la sua spada, il protagonista potrebbe riuscire ad annientare i giganti, ma Wander, stolto e ingenuo ragazzo, non può sapere ciò che lo attende.


Così cominciano le sedici fatiche di Wander, sedici imprese titaniche che lo porteranno alla rovina e alla completa corruzione dell'anima. A ogni gigante caduto, infatti, delle lingue nere fuoriescono dai possenti corpi ormai inermi dei colossi e si stagliano dentro il protagonista. Il ragazzo, quindi, muore quasi all'istante ma, una volta teletrasportato nel tempo, viene puntualmente riportato in vita da Dormin al fine di poter proseguire la sua crudele missione.



Fumito Ueda Shadow of the Colossus | Daelar Animation
© Team ICO | © SIE Japan Studio | © SIE Worldwide Studios | © Sony Interactive Entertainment | © Sony Corporation


I colossi hanno occhi verde chiaro quando tranquilli e rosso fuoco quando adirati. Sia magia bianca che magia nera, dunque, compongono questi titani di pietra. Wander viene investito sedici volte dall'ombra, diventando alla fine uno zombie senza neanche più il dono della parola. Ogni gigante ucciso rappresenta un sigillo (magia bianca) che rinchiude l'essenza di Dormin (magia nera) nella Terra Proibita da secoli se non da millenni, e il protagonista, ingannato, libera il dio, il quale impossessatosi del suo corpo ormai marcio comincia la sua rinascita materiale. Degli uomini all'inseguimento del protagonista - quest'ultimo si scopre avere rubato la spada - entrano nella Forbidden Land e riescono a sigillare l'orrenda creatura che si sta formando, distruggendo il ponte che collega la valle al suo unico ingresso e gettando Wander nella luce della spada. Dopo il crollo del ponte e l'addio degli inseguitori alla Terra Proibita, Mono si sveglia e cammina verso il centro del tempio. Qui trova un neonato con due piccole corna, un piccolo che la ragazza decide di accudire per il resto della sua nuova vita. La stirpe degli uomini con le corna la ritroveremo poi in ICO, quindi la maledizione di Wander continuerà a vivere di generazione in generazione. La trama, oltre ad essere ancora più minimale di quella di ICO, rappresenta dunque il prequel dell'opera prima di Ueda, in quanto gli uomini con le corna derivano tutti dal protagonista di Shadow of the Colossus.



Fumito Ueda Shadow of the Colossus | Daelar Animation
© Team ICO | © SIE Japan Studio | © SIE Worldwide Studios | © Sony Interactive Entertainment | © Sony Corporation


Il videogioco si sviluppa come una tragedia greca, un racconto che dall'inizio precorre un inesorabile finale tutto sommato positivo ma dal retrogusto amarissimo. Il solo pensiero di avere ucciso sedici meraviglie, di cui solamente la metà violente, fa quasi impallidire il giocatore riflessivo che ha capito l'intreccio e la storia, che ha compreso il destino e l'egoismo di Wander, l'ineluttabile furia cieca di un ragazzo reso pazzo dall'amore e/o dal senso di colpa [3]. Il videogioco non esiste se non nella natura interattiva dell'opera. Non solo non vi sono livelli poiché ogni colosso non può essere considerato come tale, bensì è difficile che esista la morte all'infuori di quella narrativa. In Shadow of the Colossus non è praticamente possibile morire per distrazione del giocatore - salvo rarissimi casi - ma perdere al massimo la "stamina": l'unico item collegato direttamente al protagonista che ne limita possibilità atletiche altrimenti infinite. Ueda struttura un protagonista invincibile perché l'opera deve concludersi con l'annientamento prima dei colossi e poi di Wander. Il giocatore deve sentirsi in grado fino alla fine di poter "sconfiggere il gioco" ma nel finale verrà addirittura ridicolizzato perché inserito nei panni dell'abominio Dormin quando la divinità cercherà di materializzarsi. Il dio, con la stessa goffaggine dei giganti, tenterà infatti di difendersi invano dagli uomini che da lì a poco lo sigilleranno, sconfiggendolo definitivamente.



Fumito Ueda Shadow of the Colossus | Daelar Animation
© Team ICO | © SIE Japan Studio | © SIE Worldwide Studios | © Sony Interactive Entertainment | © Sony Corporation


Shadow of the Colossus è dunque un videogioco che si perde a tutti gli effetti, eppure regala una delle più straordinarie esperienze video-ludiche che si possano immaginare. Filosofia, silenzio, atmosfera, epicità, grazia sono alcune delle parole chiave che descrivono questo titolo, che è puro cinema interattivo, arte del videogioco ai massimi livelli, anche grazie alla regia di Ueda che nel rappresentare gli idoli mette in scena qualcosa di superlativo. Bisogna notare, per esempio, come Ueda abbia voluto sempre, quando vi sono dei colossi nell'inquadratura, riprendere ad altezza umana, con l'asse leggermente rialzato, in modo da evidenziare le proporzioni titaniche di questi enormi sigilli ambulanti. Se poi ciò viene sommato a un sonoro che esalta alla perfezione i passi e le onde d'urto che tali mostri di pietra provocano al loro passaggio, l'esperienza diviene totalmente appagante e i colossi terrificanti prede da annientare. Infine, la colonna sonora di Kow Otani chiude questo cerchio di rappresentazione audio-visiva che rasenta la massima eccellenza. Si passa da musiche incalzanti durante gli scontri a sonorità più nostalgiche e pacate durante la morte dei giganti, da alcuni brani di epicità simile a quella shoriana, che riprendono il post-minimalismo per poi donare alle composizioni decorazioni folkloristiche, ad altri struggenti grazie ad archi solenni e a un uso incostante e sublime di cori angelici che completano ogni atmosfera.


Fumito Ueda The Last Guardian | Daelar Animation
© Team ICO | © SIE Japan Studio | © SIE Worldwide Studios | © Sony Interactive Entertainment | © Sony Corporation


YOU WERE THERE


L'ultima opera di Fumito Ueda chiude un trittico che ha ridefinito il videogioco spostando l'asse qualitativo da esperienza video-ludica ad arte video-ludica. La storia della produzione di The Last Guardian è sofferta, costellata di annunci rimandati, di trailer smentiti, di informazioni incoerenti e contraddittorie l'una con l'altra e conduce il lavoro di Ueda a prolungarsi per quasi un decennio. Il videogioco, infatti, rappresenta nel 2009 il titolo di punta del SE Japan Studio per la console Play Station 3, tuttavia viene annunciato e presentato ufficialmente per Play Station 4 solo alla fine nel 2015, lasciando perciò sbalorditi i tanti fan del Team Ico (la conferenza dell'E3 di quell'anno viene ancora oggi ricordata per essere stata la più densa di titoli attesi nella storia della fiera). All'uscita, l'opera di Ueda viene pesantemente criticata per via di alcune problematiche riguardo il sistema di gioco, i comandi, le interazioni in-game tra i protagonisti e alcuni elementi importanti di gameplay. Nonostante, quindi, The Last Guardian presenti diverse lacune come videogioco, l'esperienza che regala al giocatore - anche, come sempre, spettatore - si rivela alla fine epica, struggente, commovente, totale. Ueda punta sull'empatia, firmando la sua opera emotivamente più intensa nonché graficamente spettacolare (un gradino più in basso rispetto alla versione per PS4 di Shadow of the Colossus ma comunque complessivamente straordinaria).



Fumito Ueda The Last Guardian | Daelar Animation
© Team ICO | © SIE Japan Studio | © SIE Worldwide Studios | © Sony Interactive Entertainment | © Sony Corporation


La poetica dell'autore rimane invariata ma si focalizza questa volta sui rapporti tra i personaggi, sul legame che essi plasmano durante lo sviluppo della trama. Questo contatto crea anche nell'animo del giocatore la consapevolezza di stare manovrando un racconto che verso la fine lo coinvolgerà con tutta la propria sensibilità. The Last Guardian presenta un intreccio narrativo più complesso rispetto a quelli di ICO e Shadow of the Colossus. La storia è raccontata da Ichi adulto, il protagonista, che sotto-forma di flashback rivela a dei ragazzini la propria avventura nel Nido (chiamato anche "la Valle"), un'antica città in rovina isolata dal mondo esterno perché costruita dentro un enorme cratere dalle pareti insormontabili. La trama viene così presentata:


Da bambino, Ichi viene rapito e inghiottito da una chimera appartenente alla razza dei Trico, la quale, diretta successivamente verso il Nido, viene colpita da un fulmine mentre si trova ancora in volo. Precipitata e con le ali rotte, la chimera Trico rigetta Ichi, che impaurito e in preda al panico cerca di scappare dalla grotta dove sono sprofondati lui e l'animale. Cercando una via di fuga, il bambino trova una stanza segreta, un sepolcro con al centro un enorme sarcofago bianco su cui poggia uno scudo luminescente. Preso lo scudo e resosi conto di non avere alcuna possibilità di evadere, Ichi torna dal Trico gravemente ferito, che ancora dorme ferito e sofferente.



Fumito Ueda The Last Guardian | Daelar Animation
© Team ICO | © SIE Japan Studio | © SIE Worldwide Studios | © Sony Interactive Entertainment | © Sony Corporation


Accanto a lui si trovano degli strani barili pieni di una sostanza biancastra della stessa fluorescenza dello scudo. Il bambino scopre che se avvicinati alla chimera, i barili vengono divorati da questa e che a ogni barile mangiato il Trico si sente meglio e si rinvigorisce. Una volta tornato in forze, con tuttavia le ali ancora spezzate e probabilmente senza più memoria del passato, il Trico, riconoscente verso Ichi, decide non solo di risparmiare il bambino ma, anzi, di rendersi amichevole e mansueto. Comincia così la loro avventura, una storia di fuga e di amicizia alla scoperta di tutti i segreti della Valle.


Con The Last Guardian, il cinema interattivo di Ueda compie un ulteriore passo in avanti nonostante i limiti di un gameplay a volte altalenante. L'interattività tra i personaggi primari di un videogioco cambia concettualmente in maniera radicale, rendendosi non più un mero meccanismo per superare prove di abilità o enigmi, bensì lo strumento perfetto per poter vivere un'esperienza emotiva che nel climax riuscirà a raggiungere l'intensità di quella provocata da Hogarth Hughes e dal gigante nel lungometraggio animato Il Gigante di Ferro (1999) di Brad Bird. Si tratta, dunque, di un intenso rapporto sia di amicizia, sia di fiducia che si costruisce fra personaggi e tra giocatore e videogioco; un legame che trascende quello tra Ichi e Trico, che si concretizza nelle reali emozioni del giocatore quali preoccupazione, affetto, rabbia e tenerezza.



Fumito Ueda The Last Guardian | Daelar Animation
© Team ICO | © SIE Japan Studio | © SIE Worldwide Studios | © Sony Interactive Entertainment | © Sony Corporation


Il linguaggio di Ueda rimane sempre minimale: dialoghi e trama narrati sommariamente, tanti momenti di assoluto silenzio contemplativo, movimenti di camera delicati e soavi in tutte le cutscenes per descrivere al meglio la beltà del Nido, continui misteri tra le rovine e un nemico finale ibrido tra la luce e l'ombra che, al contrario della Regina delle Ombre e di/dei Dormin, si presenta decisamente più enigmatico e indefinito. Il Signore della Valle, infatti, altro non è che una "riesumanza", un complesso di energia e magia (sia bianca che nera) - anche questo divoratore di bambini, dunque di purezza - che come la Regina delle Ombre domina la sua terra alimentandosi tramite un ciclo infinito. Le chimere non sono altro che i servi erranti disposti a nutrirlo e Trico, invece, riesce a liberarsi dall'incantesimo di dominio solamente grazie alla caduta mortale che subisce all'inizio della storia. Anche qui, le musiche completano un'opera dalla potenza espressiva e visiva notevoli. Takeshi Furukawa compone infatti una delle migliori colonne sonore del decennio appena passato e, attraverso musiche che ricordano Howard Shore e Thomas Newman più che altri artisti giapponesi, riesce a plasmare le avvolgenti, solenni e grandiose atmosfere che aiutano The Last Guardian a diventare sia uno dei titoli più appassionanti della storia recente dell'arte video-ludica, sia un'esperienza - anche - cinematografica meravigliosa e indimenticabile.


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