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Immagine del redattoreIsaia Silvano | Daelar Animation

Mary e Il Fiore della Strega: storia dello Studio Ponoc

Nel 2017, il terzo lungometraggio diretto da Hiromasa Yonebayashi, dopo Arrietty (2010) e Quando C'era Marnie (2014), si presenta prima di tutto come un grande omaggio ad Hayao Miyazaki, il mentore del regista. Lo spirito che permea il primo film dello Studio Ponoc, infatti, seppur ai limiti del plagio verso quello fantastico e suggestivo del maestro, risulta espresso con una vena autoriale leggermente diversa da quella di Miyazaki e delle opere più famose dello Studio Ghibli. Yonebayashi sicuramente non ha ancora raggiunto una maturità artistica definita, tuttavia Mary e Il Fiore della Strega racconta una storia che, nel suo essere messa in scena in modo praticamente citazionistico, delinea una struttura narrativa avvincente seguendo il soggetto del romanzo di Mary Stewart La Piccola Scopa. Lo Studio Ponoc rappresenta senza ombra di dubbio "il nuovo Studio Ghibli" per lo stile fine adottato nelle animazioni e per il design dei personaggi, per le ambientazioni e per le atmosfere sospese e sognanti che espone. L'ombra del Ghibli risulta infatti onnipresente nel film, anche perché nel team di sviluppo del Ponoc si trovano molti degli ex dipendenti dello studio di Toshio Suzuki, di Isao Takahata e di Hayao Miyazaki che hanno lasciato il posto di lavoro in seguito alla crisi produttiva del Ghibli avvenuta nel 2014/2015.



Mary e Il Fiore della Strega | Daelar Animation
© Studio Ponoc | © Toho


Tra di essi figurano come fondatori il produttore Yoshiaki Nishimura (Il Castello Errante di Howl, La Storia della Principessa Splendente, Quando C'era Marnie) e il regista Hiromasa Yonebayashi, l'artista che più di ogni altro avrebbe potuto mandare avanti la celebre casa di produzione quando e se gli anziani avessero voluto - o dovuto - cedere agli artisti più giovani una maggiore indipendenza. Le ragioni che hanno portato lo Studio Ghibli allo sbando, ovvero principalmente una mancata riorganizzazione dello staff e una poca lungimiranza degli amministratori nel lasciare scoperti milioni di Yen dopo il pessimo bilancio economico de La Storia della Principessa Splendente (2013), convergono in un unico punto focale: manca un ricambio generazionale che abbia l'abilità di prendere le redini dello studio e, soprattutto, che abbia il coraggio di portare sulle proprie spalle le eredità artistiche di Takahata e di Miyazaki, due tra i registi d'animazione più importanti dell'intera storia del cinema. Tale passaggio di testimone spaventerebbe chiunque, ragion per cui non si possono cercare i colpevoli della crisi o, ancora peggio, i "traditori" né tra i membri dello Studio Ponoc, né tra quelli dell'odierno Studio Ghibli come Goro Miyazaki.



Mary e Il Fiore della Strega | Daelar Animation
© Studio Ponoc | © Toho


La colpa di questa metaforica discesa del Ghibli non è degli artisti ma è responsabilità di chi ha amministrato e continua a guidare l'azienda prendendo decisioni sbagliate, controproducenti e soprattutto, come sostiene Mamoru Oshii, arroganti. Mary e Il Fiore della Strega, da un punto di vista produttivo e soprattutto del marketing, rappresenta infatti un perfetto palliativo per gli amanti del Ghibli che nel 2017 aspettavano con trepidazione un'opera dello studio da Quando C'era Marnie, opera sempre di Yonebayashi.


Il film sviluppa un intreccio partendo da un'idea narrativa interessante, ovvero semplicemente dalla fantasia di una bambina molto annoiata. In questo modo ogni elemento fantasy del lungometraggio può essere interpretato esattamente come tale, senza che molta "sospensione dell'incredulità" venga messa in atto dall'osservatore durante la visione. I personaggi risultano caratterizzati in modo piuttosto abbozzato, descritti con sfumature caratteriali poco convincenti a partire dall'insicura e goffa protagonista, mentre l'apparato tecnico dell'opera, invece, si presenta di alto livello, come era ovvio aspettarsi.



Mary e Il Fiore della Strega | Daelar Animation
© Studio Ponoc | © Toho


Sia i fondali che la fotografia donano alle sequenze aeree una notevole dinamicità, il character design di Yonebayashi risulta sempre piacevole (pulito, leggermente caricaturale, molto fine e grazioso nel tratto) e le musiche di Takatsugu Muramatsu stupiscono in positivo grazie all'utilizzo di armonium come strumenti principali dell'affascinante colonna sonora. Il film viene ambientato in Inghilterra, terra ancora inesplorata da(gl)i (ormai ex) membri del Ghibli. I paesaggi rurali appaiono parzialmente diversi da quelli giapponesi, nord europei, mediterranei o fantasy dei film di Miyazaki. I colori dei fondali, infatti, si rivelano più scuri (il verde è quasi sempre tendente al muschio), la nebbia è molto presente, i campi si presentano meno rigogliosi, più spogli e per niente selvaggi. La fotografia e le scenografie nel mondo fantasmatico di Mary, la seconda dimensione e ambientazione del lungometraggio, rimandano invece in maniera importante a Il Castello Errante di Howl (2004). Concettualmente e dal punto di vista narrativo, alcuni dei troppi richiami alla filmografia di Miyazaki sono il fatto che la bambina sia da sola e lasciata quasi completamente a se stessa, il gatto e la scopa da strega, il grande albero posto al centro del mondo fantastico, gli ibridi mostruosi e le creature magiche scure e informi e il classico espediente del potere incontrollabile proprio di decine di universi fantasy.



Mary e Il Fiore della Strega | Daelar Animation
© Studio Ponoc | © Toho


Mary e Il Fiore della Strega si presenta, dunque, consciamente come una grande ovazione più che un'opera originale. Il racconto, tuttavia, può essere apprezzato sia dai bambini, che possono vedere e vivere una storia alla loro portata anche come tematiche, sia dagli adulti, che invece possono scorgere significati assai ben studiati da Yonebayashi e che puntano, alla fine, all'unico elemento non derivativo del film: la noia.


L'opera, infatti, non esprime soltanto argomenti come l'amicizia, il coraggio, l'amore giovanile o la giustizia e non si ferma a comunicare la questione superficiale del lungometraggio e del soggetto originale, ovvero "la normalità rende magici, la magia non rende migliori". Questo è un film sulla maledetta e asfissiante noia che prova la protagonista, l'unica ragione per cui Mary riesce a costruire e inventare il mondo fantastico nel quale sogna di vivere un'avventura indimenticabile e appassionante. Tale punto porta il lungometraggio di Yonebayashi a non essere un'inutile copia dei classici dello Studio Ghibli.



Quando C'era Marnie | Daelar Animation
© Studio Ghibli


L'opera, infatti, sviluppa l'ancora incerta e poco definita poetica del regista, un artista che con Quando C'era Marnie, assieme al primo segmento Kanini e Kanino di Modest Heroes (2018) l'unico altro lavoro di cui è sia sceneggiatore che regista, aveva cercato - con alcune esitazioni - di raccontare e mettere in scena un punto di vista personale sull'insofferenza e sul dolore dell'età giovanile. I due lungometraggi di Yonebayashi sono uniti dai sentimenti grigi che provano le diverse protagoniste, sensazioni che possono far vibrare l'animo e accendere la fantasia delle persone ingannandone i sensi e portandone la mente altrove, a immaginare relazioni, persone, luoghi e avvenimenti che non esistono nel mondo reale. I due libri da cui sono tratti i film, ovvero il romanzo omonimo di Joan Gale Robinson e La Piccola Scopa di Mary Stewart, sono racconti di matrice autobiografica che descrivono il lato emotivo più indifeso della prima pubertà, un'età fragile nella quale è facile chiudersi in se stessi ed evadere dall'oppressione della realtà attraverso l'immaginario sconfinato della fantasia. Yonebayashi riesce a esprimere tali significati, tuttavia ancora non risulta possibile definire il regista un autore "sbocciato" poiché entrambe le opere soffrono di influenze esterne davvero troppo marcate.

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