Considerato dalla critica cinematografica come l'assoluto capolavoro di Fritz Lang, Metropolis, dopo il 1927, è divenuto uno dei più importanti riferimenti artistici del cinema di fantascienza, sia dal punto di vista tecnico degli effetti speciali che dal punto di vista concettuale: ambientazioni futuristiche solitamente distopiche o post-apocalittiche, aspre critiche nei confronti della società post-industriale, messaggi di avvertimento rivolti al progresso e alla scienza. Tale pellicola, basata sul romanzo omonimo dell'attrice e sceneggiatrice Thea Von Arbou - moglie del regista - del 1925, appartiene al movimento d'avanguardia dell'Espressionismo, corrente artistica alla quale molti registi, oltre che artisti appartenenti ad altre arti figurative, hanno aderito tra il 1905 e il 1925 in Austria, in Germania e nell'Europa centrale. La produzione del lungometraggio è avvenuta durante gli anni precedenti alla ascesa di Adolf Hitler nello Stato tedesco e la sua conservazione, come quella di molte altre pellicole europee realizzate prima del 1945, è stata compromessa dai massicci bombardamenti avvenuti durante la Seconda guerra mondiale nelle maggiori aree urbane del "Vecchio Continente". In seguito alla fine dei conflitti, infatti, solamente tre quarti dell'opera è stata recuperata e, solo nel 2008, il 95% della versione originale del film, della durata di più di due ore, è stato ritrovato a Buenos Aires nella proprietà di un collezionista privato.
La mole di opere, non solo cinematografiche, che si sono ispirate al capolavoro di Fritz Lang e che, in un modo o nell'altro, hanno permesso al genere fantascientifico di evolvere e di progredire nel corso del XX secolo è immensa: dalla grande città protetta da Superman, denominata appunto "Metropolis", a film diventati negli anni dei veri e propri cult come Blade Runner (1982), Terminator (1984), Guerre Stellari (1977), RoboCop (1987) e Matrix (1999). Si può affermare con certezza, quindi, che questo lungometraggio abbia determinato molti dei canoni e delle caratteristiche della fantascienza contemporanea, ovvero successiva a quella moderna di scrittori come Jules Gabriel Verne e Herbert George Wells, andando ben oltre il medium cinematografico e influenzando, per esempio, anche un'ampia schiera di autori della "nona arte" fumettistica sia occidentale (come il collettivo francese Métal Hurlant sviluppatosi poi negli Stati Uniti in Heavy Metal), sia orientale (da Osamu Tezuka a Leiji Matsumoto, da Masamune Shirow a Katsuhiro Otomo e Tsutomu Nihei).
Un'indagine storico-letteraria...
Nel 2026, Metropolis è il prototipo di città produttiva ideale futura, microcosmo ideato da Thea Von Harbou e volto a descrivere l'estremizzazione del sistema economico-sociale del capitalismo.
Nell'enorme complesso di strade sopraelevate, di luci e di palazzi avveniristici si estende la parte appariscente e progredita della città, una capitale colossale al cui centro si erge la "Nuova Torre di Babele", un gigantesco grattacielo che rappresenta l'apice dello sviluppo tecnologico umano e nel quale risiede Johann Fredersen, costruttore e unico signore indiscusso di Metropolis. Al di sotto di tanta prosperità e benessere si dirama la città sotterranea, luogo angusto in cui il ceto operaio della popolazione lavora, in condizioni di assoluta miseria, a ritmi e con turni disumani per poter produrre l'energia adeguata al funzionamento della torre.
Da una prima lettura della pellicola si possono intuire almeno due delle tante importanti simbologie che il film esprime: la lotta di classe e il tema del doppio. Non a caso queste due rappresentano le argomentazioni più rilevanti dell'opera di Lang, essendo stata prodotta nel 1927. Seguendo un ragionamento storico-letterario ma anche filosofico, nella Germania di fine anni '20 queste erano le riflessioni intellettuali principali nei confronti della società, intesa come realtà collettivista, e dell'individuo. Si stavano attraversando anni di rivolte e di scioperi e, agli imprenditori europei che vedevano la borsa di Wall Street e il NYSE come un appoggio e un solido riferimento del modello economico capitalista, il comunismo affermatosi nella ex-Russia imperiale - nel 1922 ricostituita in URSS o Unione Sovietica - incuteva un enorme timore.
Incombeva infatti il terrore che una rivoluzione potesse destabilizzare da un momento all'altro una nazione che, prima della presa al potere di Adolf Hitler nel 1933, era allo sbando e stava ancora pagando in maniera salata gli esiti della Grande Guerra.
Metropolis affronta ciò che di negativo porta l'eccessiva industrializzazione, ovvero le alienazioni del proletariato nei confronti di tutto ciò che ne caratterizza sia la professione, sia la sfera sociale a cui esso appartiene, seguendo in maniera piuttosto diretta, perlomeno fino alla pre-conclusione dell'opera, i Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Karl Marx [1]. Il film, quindi, rappresenta una forma estrema del rapporto tra capitalista e proletario, messa in scena infatti come relazione biunivoca tiranno-schiavo. Il parallelismo tra il capitalista e il tiranno nel lungometraggio viene ben esemplificato durante le messe di Maria, profeta che narra della Babele dell'Antico Testamento come monito per il gigantesco grattacielo di Fredersen, degli operai trattati come schiavi e di una divina provvidenza che, al momento opportuno, libererà gli oppressi e farà finalmente crollare la torre simbolo del regime. Alcuni elementi narrativi possono risultare, ora come ora, datati e troppo semplificativi, uno su tutti la frase d'inizio e di epilogo dell'opera: "La mano e il cervello possono essere uniti soltanto dal cuore". Tuttavia qui entrano in gioco, ancora una volta, gli scritti del filosofo ed economista Karl Heinrich Marx.
Nella sua "concezione materialistica della storia", ripresa soprattutto da Friedrich Engels, in cui si descrive l'evoluzione storica dei legami tra la classe dirigente e quella operaia riferendosi, come primo modello, a quello delle tirannidi dell'Età antica mentre, come modello moderno, al sistema economico-sociale capitalista post-industriale degli anni '40 e '50 del XIX secolo, sono solamente due le possibili conseguenze finali dei conflitti tra le due classi sociali: l'implosione della società o la rivoluzione. Von Arbou e Lang, tuttavia, non vogliono inscenare nessuna delle due possibilità. Un'implosione della società avrebbe distrutto Metropolis, la Nuova Torre di Babele, le avanguardie tecnologiche, i palazzi futuristici, e le uniche macchine ad essere distrutte durante il finale del film sono invece quelle della città sotterranea, strumenti che alienano i lavoratori, fatte a pezzi dalla rabbia e dall'euforia degli operai in una caotica visione luddista del sabotaggio della produzione industriale. La città esterna, la vera macchina diabolica, non viene toccata. Gli sceneggiatori, al posto di una rivoluzione, propongono una terza scelta propositiva alle ostilità tra tecnologia e lavoro, tra capitalisti e proletariato, ovvero una riappacificazione tra Johann Fredersen e gli operai compiuta dal figlio del magnate-tiranno. Non sono chiari i risvolti del film, con la stretta di mano forzata tra il padre padrone e i lavoratori. Ciò che si deduce dall'epilogo è che solo le nuove generazioni, riferendosi alla prima metà del Novecento, potranno cambiare le situazioni di scontri tra le due classi sociali, portando dunque una sorta di armonia generale nella collettività.
... di un capolavoro di forma e di messa in scena...
Per mostrare in maniera rilevante le forme di alienazione degli operai di Metropolis, Lang punta molto sulla loro distribuzione nelle riprese dei vari set cinematografici. La massa di persone assume infatti configurazioni che riflettono sempre i comportamenti dei lavoratori, nonché la loro funzione sociale e politica, specialmente in tre momenti differenti della pellicola. All'inizio, mentre si descrive la città sotterranea, gli operai sono disposti secondo blocchi rettangolari e procedono lentamente, come dei veri e propri automi privi di coscienza; durante la rivolta si muovono in maniera confusa e caotica, a evidenziare la mancanza di coordinamento e di uno scopo costruttivo della ribellione; infine, mentre marciano verso il punto d'incontro con Fredersen durante la conclusione dell'opera, si ordinano a cuneo, struttura geometrica storicamente definita e finalizzata per guidare, operare e per svolgere un ruolo socialmente attivo [2].
Risulta interessante il fatto che il film, al suo debutto a Berlino nel 1927, sia stato elogiato da molti futuri gerarchi nazisti, uno su tutti Hitler, e che altrettanti intellettuali socialisti, invece, lo abbiano sommerso di commenti negativi. Luis Buñuel lo definiva come "due film uniti per il ventre […] ci siamo sorbiti una serie di personaggi devastati da passioni arbitrarie e volgari." [3] Di fatto l'opera si presenta ambigua nei confronti dei temi sociali che tratta, forse per la sceneggiatura disorganica di Fritz Lang e di Thea Von Harbou, forse, invece, per andare incontro al pubblico, cercando una convenienza di tipo commerciale.
In ogni caso, con trentacinquemila comparse, più di duemila costumi, seicento grattacieli di settanta piani realizzati in scala ridotta, cinque milioni di Reichmark spesi e solo settantacinquemila guadagnati nei pochi mesi di proiezione in sala, Metropolis rimane tutt'oggi uno dei più grandi fallimenti economici della storia del cinema.
Sul piano tecnico, l'opera di Fritz Lang è invece una delle massime esperienze di messinscena che il cinema abbia mai potuto dimostrare, e valorizza tutte le potenzialità espressive ed emotive della "settima arte". Il regista si pone lo scopo di colpire lo spettatore tramite spazi ampi e spettacolari, rendendo impressionanti sia le scenografie, sia le vicissitudini che si svolgono al loro interno. La progettazione della città esterna è frutto dell'accostamento di varie avanguardie artistiche di inizio Novecento: dall'architettura utopica del Futurismo a quella funzionale della scuola Bauhaus per ciò che riguarda gli scenari più complessi, dall'Art Nouveau all'Espressionismo per ciò che riguarda invece gli interni delle scenografie. L'idea della città in verticale deriva, in realtà, da una necessità tecnica della produzione, ovvero l'acquisto di particolari cineprese statunitensi che Lang e lo staff dovettero eseguire a New York. Una volta prossimi al porto della "Grande Mela", infatti, il regista rimase estasiato dalla veduta dello skyline di Manhattan, seppur ancora incompleto [4].
Un'invenzione di Eugen Schüfftan, addetto principale agli effetti speciali, permise inoltre di curare nei dettagli la profondità di campo nelle scene dove imponenti strutture e attori ripresi dovevano interagire. Sostanzialmente, si trattava di un sistema di specchi inclinati a quarantacinque gradi nel quale si proiettavano dei fondali dipinti a mano. Nelle sezioni dell'inquadratura non coperte dai fondali si potevano, grazie a questa invenzione, adoperare scenografie fisiche. Nell'opera, questa tecnica viene utilizzata, per esempio, per creare la città dei lavoratori e la Nuova Torre di Babele. Un ulteriore e innovativo effetto visivo che venne introdotto, questa volta nell'editing della pellicola, è l'utilizzo del "passo uno" (stop-motion o frame by frame), tecnica di ripresa e di montaggio che, seppur sia nata assieme al cinema fotografico, prima veniva usata prevalentemente nel cinema d'animazione - non per altro per la produzione del film vennero richiamate innovazioni di effettisti del calibro di Oskar Fischinger, Hans Richter e Walter Ruttmann [5].
In Metropolis si delinea un mondo meccanico con una nuova forma espressiva, volta a criticare un sistema tanto complesso e avanzato quanto oppressivo. La regia cinematografica, dunque, non è più solo uno strumento efficace per rappresentare una determinata situazione, rendendola reale e percepibile tramite la sua riproduzione, bensì diviene il mezzo primario per contestualizzarla. Lang sviluppa quindi le potenzialità comunicative della messa in scena cinematografica, lavorando sulla composizione visiva e sui ritmi di azione.
La varietà degli elementi presenti in un'inquadratura è costituita da strutture geometriche ricondotte sempre a un principio formale e, inoltre, dove è possibile essa tende a ordinarsi secondo una configurazione simmetrica rispetto all'asse verticale centrale della macchina da presa, preferendo quindi una visione della sequenza in prospettiva centrata. Probabilmente, proprio per via di questa minuziosità nella costruzione estetica del film, il contenuto dello stesso viene alle volte lasciato in disparte o reso decisamente grottesco. Non a caso, secondo il critico cinematografico Morando Morandini "Metropolis è un capolavoro di cinema decorativo, la messinscena di un delirio." [6]
... nato dalle ceneri dell'Espressionismo tedesco
Metropolis viene considerata tuttora l'ultima grande opera cinematografica espressionista. I modelli avanguardistici di rappresentazione della propria estetica, infatti, si distaccano in maniera netta dall'Espressionismo radicale di film come, per esempio, Il Gabinetto del Dottor Caligari (1920), e sottolineano l'intenzione di Lang di voler inscrivere le proprie idee direttamente nella composizione visiva della pellicola. Le scelte registiche, infatti, rispecchiano sia un'affermazione della centralità dell'allestimento scenografico, nonché tecnico, come processo figurativo primario, sia una volontà stilistica estremamente rigorosa nella forma filmica e nell'effettistica speciale e visiva.
Dal punto di vista concettuale, il lungometraggio tratta, invece, oltre alla questione politica-sociale della lotta di classe, temi esistenziali propri del movimento d'avanguardia tedesco, privilegiando il lato emotivo della realtà rispetto a quello percepibile oggettivamente. L'argomento del "doppio" raffigurato da Maria e dal robot ne è un esempio peculiare, un dualismo che si rifà ai concetti di "spirito dionisiaco" e di "spirito apollineo" di Friedrich Wilhelm Nietzsche descritti ne La Nascita della Tragedia (1872). I due spiriti sono entrambi interpretati dall'attrice Brigitte Holm, il primo dal doppio demoniaco-robotico e il secondo da Maria. Il dionisiaco - dal dio greco Dioniso dell'estasi e della liberazione dei sensi - rappresenta lo slancio vitale, l'affermazione della vita nella sua totale libertà, l'ebrezza spontanea dell'istinto umano. Infatti è il robot, prima freddo e inespressivo, poi umano e privo di ogni vincolo morale, che per primo aizza la rivolta, distrugge la città sotterranea, fa dimenticare agli operai gli insegnamenti religiosi e pacifici di Maria e che, tuttavia, viene infine bruciato dalla folla. L'apollineo - dal dio greco Apollo dell'intelletto e delle scienze - rappresenta invece la ragione, l'armonia della forma, l'equilibrio della realtà secondo ordinati schemi razionali. Il diavolo portatore del caos e del peccato viene annientato, mentre il giudizio trionfa portando l'insurrezione a terminare in un rassicurante patto tra le due classi sociali in opposizione.
Il doppio diabolico di Maria ritrae anche la figura decadente della femme fatale, o donna fatale, un "personaggio tipo" molto diffuso nella letteratura europea dalla seconda metà dell'Ottocento ai primi anni del Novecento: donna disinvolta e ammaliatrice, caricata con erotismo e malizia, che in genere nasconde il desiderio di voler sottomettere a sé le personalità maschili deboli e arrendevoli che incrociano il suo cammino. Il primo esempio riconosciuto in letteratura di donna fatale si trova in Fosca (1869) del poeta Igino Ugo Tarchetti, importante esponente della Scapigliatura italiana degli anni '60 del XIX secolo, ma simili anti-eroine si possono ritrovare nei romanzi di Gabriele D'Annunzio o si possono accostare al Dandismo francese di Charles Baudelaire, a quello inglese dell'Oscar Wilde drammaturgo teatrale di Salomè (1891) e, per restare in tema "settima arte", alla figura della dark lady, nata in ambito cinematografico con l'avvento del genere noir nel 1940.
[...] un'opera talmente straordinaria che sfugge a ogni possibile classificazione. Il restauro "integrativo" fatto in anni recentissimi l'ha resa molto più vicina alla concezione originaria, con titoli di collegamento che sopperiscono a scene ormai irrimediabilmente mancanti. L'aggiunta di molte altre che non erano state viste per decenni, ci può fare tranquillamente affermare adesso che la visione futuristica e fantascientifica delle cose deve essere intesa - e interpretata - più in senso mitico che profetico. Metropolis è dunque uno dei capolavori assoluti della settima arte.
[...] Mi viene da aggiungere che, in un'intervista con Peter Bogdanovich, Lang deplorò il fatto di non aver approfondito - fino a portarle alle estreme conseguenze - alcune delle idee da lui sviluppate nel film, a suo dire rimaste in superficie più di quanto sarebbe stato invece necessario fare per rendere più compiuto e chiaro il suo progetto (le pazzie gotiche, l'irrazionalità, l'occulto). Riteneva infatti "che se avesse avuto il coraggio di essere ancora più artificiale, più visionario" il film avrebbe impedito a priori la ricerca di riferimenti alla realtà (del resto anche la Von Harbou dichiarò nell'immediato che il suo romanzo non era un'immagine né del presente, né del futuro, che non aveva insomma "intendimenti politici né voleva essere una presa di posizione"). E fu proprio questo il punto che fu tanto attaccato dai critici del tempo, che misuravano le nuove soluzioni adottate sulla base delle categorie critiche tradizionali - e convenzionali - incapaci come erano di vedere l'oltre che l'opera contiene. Il film è infatti ricco di "contenuti sotterranei che, come merce di contrabbando, hanno attraversato le frontiere della conoscenza senza passar la visita" (Siegfried Kracauer). Fireda Grafe ci ricorda infatti che "siccome a loro parere mancava una presa di posizione, si permisero per principio di tirare dei veri e propri colpi bassi atti a distruggerne le qualità intrinseche". Forse l'attacco era più rivolto all'ingenuità dell'assunto narrativo (e quindi alla Von Harbou autrice del romanzo e della sceneggiatura alla quale però collaborò anche Lang).
Occorrerebbe averlo letto per comprendere le connessioni con il film, così come ci è pervenuto con le variazioni intercorse, ma forse non c'è nemmeno bisogno di capirle perché ad essere importante è il magnifico effetto complessivo che produce e che perdura ancora oggi. Il cinema è soprattutto "immagine" e dunque anche quei critici un po' miopi (che non riuscirono però a smorzare l'interesse del pubblico di allora) avrebbero dovuto accorgersi - e valutare in positivo - il delirio ritmico e visivo che travolge personaggi e ambienti e strabiliarsi davanti agli incredibili giardini abitati dalla gioventù dorata, agli angosciosi sotterranei, alle catacombe circondate da una foresta di croci altissime, agli operai che avanzano a passo cadenzato o all'enorme spazio invaso dall'acqua con le masse che cercano disperatamente di sfuggire all'inondazione della città inferiore. Conosciamo poi le tante vicissitudini patite dal film, bloccato subito dopo la sua uscita e rimontato contro il parere di Lang (una versione monca e semplificata che è rimasta a lungo quella più conosciuta e frequentata, utilizzata persino da Moroder per la sua versione anni '80). Ma per fortuna adesso l'opera, il più possibile vicina all'originale, è finalmente accessibile a tutti nel suo immenso splendore formale tutt'altro che privo di contenuti.
Valerio "spopola" Vannini [ FilmTV ], 31/07/2016
Una revisione stilistica...
In seguito ai primi successi per i giornali Mainichi Shibun e Ikuei Shuppan, tra il 1948 e il 1951 Osamu Tezuka accresce la propria popolarità nell'ambiente del fumetto giapponese attraverso la realizzazione di un trittico di manga di fantascienza edito in singoli volumi: Lost World - Zenseiki, Metropolis e Next World - Kitaru Beki Sekai. Sfruttando il nuovo metodo di pubblicazione degli akobon [7], il mangaka decide di strutturare il proprio Metropolis nel 1949, unendo vari elementi narrativi tratti da lavori giovanili incompiuti, come Oyaji no takarajima, e da film live-action sci-fi come Il Raggio Invisibile (1936) di Lambert Hillyer e, ovviamente, Metropolis (1927) di Fritz Lang. Tuttavia, è curioso constatare che Tezuka, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, non solo cita l'opera tedesca soltanto in alcuni dettagli come il titolo del fumetto e il protagonista androide, ma al tempo della stesura del manga non aveva mai visto il film: "Questo essere umano artificiale lo realizzai a immagine del robot femminile di Metropolis, capolavoro del cinema tedesco prebellico. Tuttavia, io non avevo mai visto quel film e non ne conoscevo la trama. Semplicemente, in tempo di guerra, sulla rivista Kinema Junpo, o un'altra del genere, venne pubblicata una foto di scena di questo film, proprio quella in cui nasce la donna robot. Me ne ricordai e presi spunto da lì. Poiché il suono "metoroporisu" mi piaceva molto, usai lo stesso titolo, ma la mia storia non ha molto a che vedere con il film." [8]
In effetti, il manga di Tezuka narra una storia completamente diversa da quella espressa nel film di Lang, sebbene permangano in entrambe le opere alcune visioni simili di come l'uomo e il robot, se non cooperanti, siano destinati a distruggersi violentemente. Il fumetto infatti indaga in modo più approfondito il tema del "moderno prometeo" di Mary Shelley, ovvero della creatura artificiale che si ribella al proprio creatore, l'uomo, come l'uomo stesso d'altro canto tenta di sopraffare il proprio di artefice, Dio, nel XIX secolo. Vi è dunque una feroce critica alla società post-industriale, come nel Metropolis del 1927, ma al mangaka, come esplicitato in molte altre sue opere future, più che contestare una nevrosi sociale interessa prendere di mira un determinato schieramento politico: il fascismo. Nel 1949, gli esiti della Seconda guerra mondiale riecheggiano ancora palpabili in Giappone e, durante questi anni post-bellici, Tezuka esprime fermamente tutto il proprio rancore verso ciò che gli ideali nazional-socialisti hanno scatenato nel mondo, un dissenso che il maestro esalterà in modo poeticamente maturo nel suo capolavoro I Tre Adolf (1983) a fine carriera. Nel Metropolis a fumetti, infatti, molti "personaggi tipo" dell'autore vengono creati e inseriti in un loro primo contesto narrativo, ovvero un'ambientazione pre-apocalittica avanzata ma non futuristica o cibernetica, bensì alternativa degli Stati Uniti d'America degli anni '30.
"[...] i due personaggi chiamati Duca Red e Notaarin debuttano in quest'opera, e si sarebbero entrambi fatti valere in molti dei miei lavori successivi. Il protagonista Mitchy può diventare sia maschio che femmina, una variazione che in seguito genererà Atom (Astro Boy) e si svilupperà in Zaffiro. È un personaggio che diventerà il prototipo per una categoria di miei eroi ed eroine." [9]
... di un'opera senza tempo
Contrariamente al manga di Osamu Tezuka, la riproposizione dell'opera a fumetti prodotta dalla Madhouse Animation dal 1996 al 2001 si rifà in maniera importante alla pellicola di Fritz Lang [10]. Il film d'animazione Metropolis rappresenta una delle opere animate più importanti, audaci e coraggiose della storia del medium, una collaborazione tra i professionisti giapponesi più rinomati nei propri ruoli: Masao Maruyama e Iwao Yamaki alla produzione, Yasuhiro Nakura al character design e alla supervisione delle animazioni, Shuichi Hirata alla direzione artistica, Tsuneo Maeda alla direzione delle componenti in CGI, Katsuhiro Otomo alla sceneggiatura e Shigeyuki "Rintaro" Hayashi alla regia. Il progetto, realizzato da un committèe - istituito dal co-fondatore dello studio Rintaro - tra Madhouse e Tezuka Productions, si presenta come uno dei pochi film d'animazione giapponesi definibili dei veri e propri kolossal a livello di produzione.
L'opera, infatti, supera il budget di Akira (1988), fino al 2000 il film d'animazione giapponese più costoso di sempre, e verrà sorpassata solo nel 2004 da Steamboy, lungometraggio diretto sempre da Otomo. È proprio al "genio di Hasama", tra l'altro, che si deve la componente retro-futuristica del film, legata in maniera indissolubile ad alcuni particolari narrativi e scenici del capolavoro del 1927. Innanzitutto, a differenza del manga di Tezuka, Metropolis è divisa in livelli verticali, come nel lungometraggio di Lang; in entrambe le pellicole viene eretta e inaugurata la Nuova Torre di Babele, assente invece nel fumetto; nel film d'animazione e nel classico tedesco vengono inscenate violente ribellioni aizzate da robot e i personaggi "apollinei" delle due opere, Tima in quella di Rintaro e Maria in quella di Lang, fungono per un solo momento da possibili mediatori prima della catastrofe. Nella sceneggiatura di Otomo, che contamina fortemente il film inserendovi gran parte della sua poetica "pro-anarchia robotica" - basti pensare alle esplicite invocazioni rivoluzionarie a favore dei robot-proletari in Robot Carnival (1987), in Interrompete I Lavori! (1987, Manie-Manie: I Segreti del Labirinto), in Roujin-Z (1991) e in Cannon Fodder - Taiho no machi (1995, Memories), convivono in maniera sorprendentemente organica e armonica il racconto del 1925 di Thea Von Arbou, e dunque l'esaltazione del capitalismo e del raggiungimento di uno stadio superiore della società-civiltà umana, e il manga di Tezuka: il discorso sulla paternità e sul possesso della vita.
Otomo, inoltre, inquadra perfettamente la critica al pensiero deviato nazional-socialista e nazista del "superuomo" nietzschano, declinato erroneamente come "razza pura" e perciò essere di natura superiore, dominatrice e devastatrice. Il robot protagonista del nuovo Metropolis, chiamato Tima, viene accompagnato da un ampio cast di personaggi del manga che, tuttavia, vengono calati più nei panni del film di Lang che in quelli del fumetto: Tima è la doppia Maria; Red è il magnate e tiranno Fredersen; Rock - personaggio inedito nel manga - è una variazione estremamente cinica e drammatica del figlio Freder; il dottor Laughton, padre-inventore del robot, è lo scienziato Rotwang. Il creatore di Domu - Sogni di Bambini (1980/1983) e di Akira (1982/1990), dunque, diventa di fatto l'autore di Metropolis (2001), in quanto ne delinea i principi e i personaggi, ne tesse la trama e i contesti narrativi, ne inquadra gli argomenti e i messaggi politici di fondo. Shigeyuki "Rintaro" Hayashi, a capo della produzione e regista del film, invece, dirige l'orchestra formata da Otomo seguendone le fondamenta formali e firmando la miglior performance tecnica della propria immensa carriera nel mondo dell'animazione. Rintaro rappresenta, al pari di personalità come Isao Takahata, Hayao Miyazaki, Gisaburo Sugii, Osamu Dezaki e Yoshiyuki Tomino, uno dei migliori e più importanti professionisti apparsi durante la anime golden age [11] e, dalla fine degli anni '50 a oggi, ha lavorato o come animatore, o come regista a serie e a film come Astro Boy (1963), Kimba Il Leone Bianco (1965), Moomin (1969), Capitan Harlock (1978), Galaxy Express 999: Il Film (1979), Addio Galaxy Express 999: Capolinea Andromeda (1981) e Harmagedon (1983).
Se, come regista, Rintaro non ha mai brillato tecnicamente prima del nuovo Metropolis, si è invece imposto nel medium dell'animazione giapponese, già negli anni '70, come uno dei mestieranti più capaci nel saper curare e coordinare a vari livelli (dallo storyboarding alla produzione esecutiva) il lavoro all'interno di grandi realizzazioni animate, da serie e OAV a lungometraggi d'animazione. Inoltre, insieme al più navigato Eiichi Yamamoto, negli anni '60 aveva dimostrato di essere uno dei migliori giovani collaboratori proprio di Osamu Tezuka alla Mushi Production.
L'idea di riportare in auge e sul grande schermo il manga del maestro, infatti, parte proprio da un progetto personale, concepito e sviluppato con il produttore, altro co-fondatore della Madhouse, Masao Maruyama dal 1996 al 2001 attraverso cinque anni di pre-produzione ed esecuzione intensi e artisticamente di pura avanguardia. Rintaro, pur non essendo mai stato un autore in alcun senso, né nella poetica, né nella forma registica (come invece hanno dato prova di essere negli anni altri adattatori di opere altrui come Gisaburo Sugii o Osamu Dezaki), nel Metropolis tracciato da Otomo dirige le migliori sequenze della propria carriera, scene dalla forte carica emotiva e dal magistrale impatto scenografico: il risveglio di Tima, creato con lo stesso primo piano - sugli occhi che si aprono - girato nel 1927 da Fritz Lang; l'inseguimento di Kenichi e Rock nei bassifondi di Metropolis; l'arrivo di Shunsaku Ban e Kenichi nella città; il finale catastrofico dell'opera. Gli ultimi venti minuti del lungometraggio, infatti, rappresentano il magnum opus del regista: un capolavoro di messa in scena che l'animazione giapponese saprà eguagliare nel XXI secolo soltanto in una manciata di film come Millennium Actress (2001), La Città Incantata (2001) e Innocence (2004).
La presentazione iniziale della Nuova Torre di Babele, la costruzione scenica diretta da Shuichi Hirata (membro dello staff artistico e background artist in opere come La Tomba delle Lucciole, Ghost In the Shell, Jin-Roh, Innocence e La Ragazza che Saltava nel Tempo) e l'epilogo micidiale del lungometraggio sono ciò che, nel 2001, ha fatto dichiarare a James Cameron la famosa frase "Metropolis è la nuova pietra miliare degli anime" [12], chiaro sintomo che persino Hollywood era rimasta scioccata dall'avanguardia tecnica con cui il film era stato realizzato. Metropolis, infatti, vive sì per la reinterpretazione otomiana del classico di Fritz Lang, tuttavia raggiunge i propri vertici artistici sia nella messa in scena diretta in modo elegante, equilibrato nel ritmo e impressionante nella formazione della tensione da Rintaro, sia nella tecnica di realizzazione di ogni singolo frame animato. Il team di sviluppo, dislocato tra Giappone e Corea del Sud, riesce a fondere le derive espressioniste e futuristiche del capolavoro tedesco con le fascinazioni retrò disegnate da Tezuka, edificando una città sconfinata su tre differenti livelli, ognuno con le proprie caratteristiche estetiche e con una propria atmosfera scenograficamente ben delineata. Il piano terreno risulta barocco e iper-moderno, colorato con sfumature accese e animato con la maggiore profondità di campo che il cinema d'animazione giapponese sia mai riuscito a ricostruire (vedasi i campi lunghi dell'incipit, attraverso i quali si riescono a scorgere dettagli scenici posti a un'altezza - fittizia ovviamente - di centinaia di metri). Nella storia del medium, soltanto Innocence (2004), Paprika (2006), Wall•E (2008) e Up (2009) potranno essere paragonati a Metropolis sotto questo punto di vista.
Il secondo e il terzo livello inferiore, rispettivamente la città sotterranea proletaria, patria dei robot lavoratori, e l'enorme discarica della città, risultano invece tinti con toni di colorazione molto più contrastanti, come il rosso e il verde, oppure immersi in un grigio metallico asettico rappresentante dell'estrema monotonia, mortale da un punto di vista simbolico, che caratterizza la base strutturale della Nuova Torre di Babele. In questi livelli anche la prospettiva registica cambia, si rende ferma o terribilmente frenetica, disponendo sempre le inquadrature su direttrici meno distanti, più vicine ai dettagli di scena. Grazie all'estrema cura nell'estetica e alla maniacale e quasi totale perfezione dell'implementazione della CG nelle animazioni tradizionali, particolare che qui supera, per la prima volta, il sistema di rendering che il gruppo Headgear aveva sviluppato per le sequenze di simulazione in Patlabor 2: Il Film (1993) e in Ghost In the Shell (1995), Metropolis viene tuttora celebrato come uno dei film d'animazione più riusciti della storia a livello tecnico.
L'ultimo elemento che contraddistingue il capo d'opera di Rintaro è l'originale comparto sonoro del film, una soundtrack di matrice dixieland e rhythm&blues, in parte composta da Toshiyuki Honda, che esalta le atmosfere retro-futuristiche del lungometraggio.
La colonna sonora risuona, tra una scena d'azione e una più introspettiva, scat sincopati alla Cab Calloway (uno dei temi principali del film canta infatti St. James Infirmary con una tromba in SiB), quasi a citare quell'animazione anni '30 dei fratelli Fleischer (specialmente di corti magistrali come Minnie the Moocher e Snow-White) grazie alla quale Tezuka aveva potuto creare e migliorare il proprio stile di disegno nella seconda metà degli anni '40. Oltre a questo rimando alle origini stilistiche del maestro, la soundtrack si avvale anche di classici r&b e soul come I Can't Stop Loving You di Ray Charles, brano che accompagna le magnifiche e ipertrofiche sequenze finali dell'opera in un macabro concerto che spezza di netto la carica tragica della messa in scena e del racconto.
Metropolis è un film unico, che riavvolge il tempo e lo plasma in una propria dimensione. Tutto, sia del film di Lang, sia del manga di Tezuka, viene elogiato, scomposto, rispettato e demolito allo stesso modo. Se il messaggio politico di Von Harbou viene sapientemente reinterpretato da Otomo seguendo la concezione post-moderna del robot come più empatico e, dunque, più umano dello stesso essere umano, l'estetica ridona vita alle tavole del mangaka, aggiornandone la componente visionaria (prima quasi assente) e staccando il chara design da quello della cartoon golden age al quale il maestro si rifaceva pedissequamente. L'originalità, invece, di certo non manca all'opera di Shigeyuki "Rintaro" Hayashi, che con questo lungometraggio non dovrà mai più essere definito solo un importantissimo professionista, bensì uno dei migliori tecnici della storia dell'animazione.
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APPROFONDIMENTI
[1] Cioffi, Fabio; Luppi, Giorgio; et al. (2008). Agorà. Manuale di filosofia 3: Ottocento e Novecento. Milano. Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori.
[2] [3] [4] [6] Chiavini, Roberto; Pizzo, Gian Filippo; Tetro, Michele (2014). Guida al Cinema di Fantascienza. Città di Castello. Edizioni Odoya.
[5] Silvano, Isaia (2021). Le Avventure del Principe Achmed: storia del cinema d'animazione astratto. Animazione Europea. daelaranimation.com
[7] [8] [9] Tezuka, Osamu (2019). Metropolis - Postfazione. Torino. Hikari Edizioni. p. 162-163
[10] Tavassi, Guido (2012). Storia dell'animazione giapponese. Autori, arte, industria, successo dal 1917 ad oggi. Latina. Tunué. p. 363-365. ISBN: 88-97165-51-6.
[11] Silvano, Isaia (2021). La Leggenda del Serpente Bianco: nascita della Golden Age degli anime. Animazione Orientale. daelaranimation.com