Michaël Dudok de Wit (nato nel 1953 ad Abcoude) è un animatore, regista e illustratore olandese con sede a Londra. Dopo la scuola superiore nei Paesi Bassi, frequenta la Scuola di Belle Arti di Ginevra e, nel 1978, si laurea al West Surrey College of Art (oggi University for the Creative Arts) con il suo primo corto The Interview. Dudok de Wit lavora per un anno a Barcellona, dopodiché si stabilisce a Londra dove dirige e anima pluripremiati spot pubblicitari per la televisione e il cinema. Tra questi si ricordano Life per la United Airlines, Upload Esfequ e Crickets per la AT&T. L'artista diventa da subito uno degli animatori più importanti e riconoscibili come stile a livello europeo. Il tratto dei disegni e le colorazioni tenui ad acquerello, sfumate spesso con il carboncino, risaltano immediatamente un'autorialità definita del regista. Dudok de Wit plasma la sua impronta stilistica rifacendosi al minimalismo estetico dei grandi rivoluzionari del fumetto franco-belga come Hergé e Moebius, alla grazia di Hayao Miyazaki e alle strisce d'autore meno caricaturali come i seminali The Yellow Kid, Mutt and Jeff e Buster Brown (nella versione disegnata da Will Lawler). Il fil rouge sentimentale, oltre che grafico e visivo, che collega queste pubblicità fà del regista un piccolo genio del non detto, siccome ogni suo lavoro, fin da subito, non si avvale mai di dialoghi strutturati ma, al massimo, di versi onomatopeici sia per far comunicare i personaggi del corto, sia per rendere chiari a chi sta osservando lo schermo i messaggi promozionali delle aziende.
Nel 1992 realizza il simpatico e stringato Tom Sweep, seguito da The Monk and the Fish (1994), prodotto in Francia con lo studio Folimage. Quest'ultimo corto, oltre che rappresentare il lato più ironico dell'artista e il primo esempio della sua cura maniacale verso la sincronia tra immagini e suono, viene candidato all'Oscar e vince numerosi premi tra cui un César Award e il Cartoon d'or. Dudok De Wit scrive e disegna anche libri illustrati per bambini e insegna animazione presso college d'arte in tutta Europa. Il suo cortometraggio più famoso, Father and Daughter (2000), vince un Academy Award, un BAFTA Award, il Grand Prix ad Annecy e dozzine di altri importanti riconoscimenti, mentre il più recente The Aroma of Tea (2006), creato e animato interamente con il tè, rinnova lo stile ormai unico e consolidato del regista. Questi due ultimi lavori più sperimentali rendono Dudok de Wit famoso in tutto il mondo e lo elevano tra i registi d'animazione più interessanti degli anni Duemila. Non per altro, proprio nel 2006, l'artista belga riceve una chiamata da Toshio Suzuki dello Studio Ghibli, il quale gli chiede se vuole cominciare a lavorare al suo primo lungometraggio sotto la co-produzione del regista Isao Takahata. Inizia così la realizzazione di uno dei massimi capolavori del cinema animato: La Tartaruga Rossa (2016). La summa dell'estro artistico di Dudok de Wit si concretizza in questa meravigliosa poesia sensibile, uno dei capolavori assoluti non solo del cinema animato, bensì di tutto il cinema del XXI secolo.
La poetica del regista raggiunge la sua massima espressione, dalla condizione precaria dell'essere umano (perno concettuale di Father and Daughter) all'ecologia (base di Tom Sweep), dalla fantasia visionaria all'oppressione del reale. Questa riproposizione di Robinson Crusoe di Defoe crea ponti filosofici tra la natura dell'animale sociale (l'uomo) e la natura del mondo (Dio), quasi richiamando il naturalismo spirituale di Terrence Malick in una dimensione in cui non esistono voci, bensì soltanto rumori e suoni selvatici. Artisticamente, la presenza dello Studio Ghibli non snatura ma, al contrario, accentua i caratteri dolci ed essenziali di Dudok de Wit, mentre realizza sfondi e sfumature fotografiche meravigliose nella loro semplicità. Ancora più straordinaria è la fusione stilistica tra Occidente e Oriente, che permette a La Tartaruga Rossa di godere di fondali e di paesaggi che tanto si rifanno alla scuola fumettistica franco-belga e all'Impressionismo, quanto integrano nella sobrietà delle tonalità di colore l'ukiyo-e e il design grafico giapponese. Lo spettacolo visivo è immenso. Il regista, grazie a questo film, raggiunge i grandi nomi della storia dell'animazione degli ultimi vent'anni, riuscendo a realizzare un lungometraggio muto che scorre veloce e rimane sempre alto nella sua espressione poetica. Le immagini si fondono in maniera sublime con l'ottima e travolgente colonna sonora di Laurent Perez Del Mar, la quale aumenta la carica emotiva delle scene più surreali, suggestive e maestose dell'opera. Il cinema d'animazione europeo non raggiungeva livelli di bellezza tanto rari da Faust (1994) di Jan Svankmajer.